Nitti e l'esilio

 

Durante il soggiorno ad Acquafredda, Francesco Saverio Nitti scampò ad un'aggressione di un gruppo fascista giunto davanti alla sua villa, il quale decise di andarsene a seguito della difesa dell'abitazione da parte di alcuni cittadini suoi amici, che vennero a conoscenza del loro arrivo. Gli squadristi rivolsero, tuttavia, minacce di un imminente ritorno. Dopo il soggiorno, Nitti tornò a Roma tentando di fermare il governo fascista per l'ultima volta. Nel 1923 Mussolini, non avendo digerito il dissenso di Nitti verso il fascismo, mandò un gruppo di squadristi a devastare la sua casa nel quartiere Prati, oltreché minacciare lui e la sua famiglia. Nitti fu indotto a prendere la via dell'esilio. Fu il primo di tanti esuli antifascisti, a cui si aggiunsero in seguito G. Salvemini, L. Sturzo, P. Gobetti, G. Donati.
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Nelle lettere Nitti scrisse, e ripeté diverse volte, che la sua situazione economica andava man mano peggiorando: un po' a causa della sua situazione da esiliato e dunque la poca possibilità di lavorare (egli non era più professore, deputato, avvocato1. Era solo un famoso pubblicista, che doveva scrivere molto se voleva mantenere un decoroso livello di vita) e di conseguenza di guadagnare; un po' a causa dello sperpero di denaro da parte dei figli; un po' a causa di una malattia contratta da Federico, documentata da una lettera scritta il 19 maggio 1922 e indirizzata a sua madre; un po' a causa della crisi economica generale che imperversava in Europa, dovuta in gran parte alle guerre. Tale situazione migliorerà solo dopo diverso tempo che lui e la sua famiglia riprenderanno le attività lavorative con maggiore costanza.

Per quanto riguarda la sua situazione familiare, Nitti godeva di una famiglia molto unita e di una moglie che fu a lui sempre complice. Inoltre, egli affermava nel suo volume “Scritti politici – Diario di Prigionia. Meditazioni dell'esilio” che “La nostra intimità spirituale era ancor più grande all'estero che non in Italia. Niente riunisce più che il pericolo comune, e niente solidarizza più che l'esilio”2.

Nitti manifestò spesso nelle lettere preoccupazione nei confronti degli studi e dell'attività lavorativa dei figli. Inoltre, è evidente la preoccupazione nei confronti della situazione italiana e dell'opposizione verso la quale mantiene un rigoroso silenzio politico e raccomandò continuamente i figli di fare lo stesso, come ad esempio si evince nella lettera dell'8 giugno 1925.

Francesco Saverio Nitti, durante l'esilio, si recò con la famiglia prima a Zurigo e poi a Parigi dove, per 20 anni, si dedicò all'attività antifascista e la sua casa fu punto di riferimento per diversi oppositori del regime, come Pietro Nenni, Filippo Turati, Carlo Roselli e Gaetano Salvemini. Nonostante non aderisse organicamente ai movimenti antifascisti in Francia, Nitti li sostenne finanziariamente e fu sua figlia Luigia a partecipare attivamente nel coordinare associazioni come la "Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo" (LIDU), fondata da Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris. Nitti viaggiò anche in altre città europee come Bruxelles, Londra, Berlino e Monaco di Baviera, dove tenne discorsi sulla libertà e sulla democrazia.

Nel suo scritto “Scritti politici. Diario di prigionia. Meditazioni dell'esilio” si legge: “Ma niente era più utile ai miei figli che il quotidiano contatto con uomini di grande elevazione fra cui letterati e scienziati insigni e gli uomini politici di grande fama. A Parigi avevamo avuto rapporti frequenti con uomini insigni nelle arti come nelle lettere, da Einstein (nostro ospite sempre che veniva a Zurigo o a Parigi) a Wells, da Painleve a Sylvain Levi, ecc. La storia della vita intima della mia casa, sopra tutto negli anni dell'esilio, avrebbe vero interesse e spiegherebbe o illuminerebbe tanti avvenimenti politici. Tutti i più grandi perseguitati o combattenti della politica di ogni gradazione, ex presidenti di repubbliche americane da Washington Luiz ad Alessandri, grandi capi socialisti travolti dalla reazione, gli stessi russi, cosi divisi fra loro, venivano spesso da me e alcuni ricorrevano a me per consiglio. I miei figli erano, dunque, abituati alla idea di tolleranza, alla concezione della libertà e avevano sopra tutto libertà di pensiero. Non avevo voluto, contro le insistenze di Turati, di Treves, di Chiesa, essere il capo della Concentrazione antifascista poi che non solo vi era divisione di partiti ma tendenza a escludere monarchici e sopra tutto cattolici popolari. Fra italiani profughi a causa del fascismo, io non volevo divisione di partiti ma solamente unione di tutte le forze della libertà contro la reazione e la violenza fascista. La mia casa, durante il tempo dell'esilio e della dominazione fascista, è stata a Parigi centro di unione politica e morale fra italiani. Alla nostra modesta mensa sedevano spesso gli uomini che più lottavano fra loro per diversità di programmi e di ideali: il sacerdote Sturzo e Modigliani di idee esageratamente anticlericali, Turati e Salvemini che si diffidavano fra loro, Treves e i repubblicani più accesi, Chiesa e i diffidenti suoi avversari, Rosselli e i giovani del movimento di giustizia e libertà. Noi eravamo sempre nell'esilio di Parigi vissuti nell'attesa fiduciosa del domani e sicuri della liberazione dell'Italia. Eravamo tutti riuniti nello stesso ideale di vita3”.

Nitti era severamente controllato da parte dei fascisti i quali controllavano ogni movimento suo e della sua famiglia e spesso gli controllavano anche la corrispondenza. Ovviamente egli, essendo consapevole di tutto ciò, cercava di limitare le informazioni contenute nelle lettere solo a scambi di saluti.

1Barbagallo F., (1984), Francesco S. Nitti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, cap. XXVI, par. 9, pag. 478.

2Nitti F. S., (1967), Scritti politici, Vol. V, Diario di prigionia. Meditazioni dell'esilio, Editori Laterza – Bari, pag. 282.

3Nitti F. S., (1967), Scritti politici, Vol. V, Diario di prigionia. Meditazioni dell'esilio, Editori Laterza – Bari, pag. 283.

 

 

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