Matrimonio di coscienza

 

Il matrimonio di coscienza è un istituto da sempre presente nell’ambito dell’ordinamento canonico. Tuttavia fu solo a partire dall’Enciclica SATIS VOBIS, pubblicata da papa Benedetto XIV, il 17 novembre 1741, che esso assunse una precisa fisionomia giuridica, che poi rimase inalterata anche con l’avvento del codice pio-benedettino del 1917.

La denominazione “matrimonio di coscienza” era abbastanza equivoca, per cui il ‘nuovo’ Codex iuris canonici del 1983 ha preferito usare la dizione “matrimonio segreto”.


Affinché la celebrazione potesse essere considerata valida, era necessario che venissero rispettate determinate condizioni, quali: la preventiva autorizzazione dell’Ordinario (sacerdote diocesano); la conduzione, in maniera del tutto riservata, delle indagini matrimoniali, senza le abituali pubblicazioni, per assicurarsi che fosse presente tutta la documentazione necessaria per considerare valido il matrimonio; la registrazione dell’avvenuta unione esclusivamente su di un apposito registro da conservarsi nell’Archivio Segreto della Curia; l’obbligo di conservare il segreto anche dopo le nozze.


Varie potevano essere, inoltre, le motivazioni che spingevano la coppia a optare per questo tipo di funzione religiosa, ossia: il desiderio di non perdere i vantaggi economici e i privilegi giuridici che la legislazione civile prevedeva nel caso in cui il coniuge sopravvissuto passasse a nuove nozze; il tentativo di aggirare i divieti legislativi posti al matrimonio di certe categorie di persone (militari e diplomatici); il pericolo dell’incontinenza; il desiderio di evitare un pubblico scandalo.