Terremoto 1851

 

Melfi sotto le macerie.

Il 14 agosto del 1851 un terremoto molto violento colpì la città Melfi e le zone circostanti, portando morte e distruzione. Il sisma fu preannunciato da alcune scosse di minore entità che, susseguendosi nel mese di giugno, funestarono un’ampia fascia del territorio lucano compresa fra i comuni di Melfi, Rionero in Vulture, Barile e Rapolla. Questi episodi non provocarono danni rilevanti, anzi, sembrò quasi che lo sciame sismico si esaurisse con una scossa più forte delle altre avvenuta il giorno 29.

Purtroppo, neanche due mesi dopo, la città di Melfi e i territori circostanti furono messi in ginocchio da un poderoso terremoto. Il forte sisma, prima sussultorio e poi ondulatorio, con un’intensità pari al decimo grado della scala Mercalli (6.0 della scala Richter), ebbe il suo epicentro nella zona tra Melfi e Rionero e fu registrato dai contemporanei alle ore 19 (14 e 20 secondo il moderno computo delle ore), poiché all’epoca, nel Regno delle Due Sicilie, vigeva l’ora italica(1). Fu così distruttivo da determinare l'alterazione della morfologia di quelle terre, da ridurre in macerie numerosi edifici e danneggiare pesantemente quelli che restarono in piedi. Melfi, Barile, Rionero, Monteverde, Atella, Venosa, Rapolla subirono la sorte peggiore, lesioni minori si riscontrarono, tuttavia, anche nel territorio dauno, in Campania e in Molise.

Così Giacomo Maria Paci ne Il terremoto del 1851 in Basilicata, descrive lo spettacolo che si presentava, all’indomani del sisma, a chi avesse avuto la ventura di visitare la città di Melfi:

«Le quattro chiese parrocchiali in cui è la città divisa, cioè quella di S. Teodoro, di S. Niccola, di S. Lorenzo, e del Carmine; la chiesa ed il convento degli Osservanti; la Confraternita laicale de' morti; il monastero delle Chiariste sotto il titolo di S. Bartolomeo; l'Orfanotrofio, tutto è andato in rovina; insomma non vi è rimasto incolume un sol edificio sia pubblico, sia privato; e quelli che sono in parte crollati han d'uopo d'essere abbattuti; tanto son guasti e sfasciati! Che anzi dalla chiesa di S. Agostino dietro alla quale erano in alto le prigioni, sino alla porta che dicesi del Bagno, tutto è rovesciato e pareggiato al suolo in modo, che camminando alla meglio sulle ammonticchiate macerie si va tant'alto quanto lo erano le finestre delle più elevate case »


Rimarchevole è anche la descrizione che degli effetti del sisma fa Maurizio Leggeri fa ne I terremoti della Basilicata:

«[…] a porta Calcinara in Melfi una squarciatura di oltre metri 1 e mezzo di lunghezza, e poco lungi i ruderi delle mura di detta porta inghiottiti forse da una più ampia voragine indicano abbastanza l’intensità quivi avuta dalla sismica convulsione »


Sicuramente tutti gli edifici pubblici e privati cittadini subirono danni, più o meno gravi. L’amministrazione dell’Ospedale di Melfi, ad esempio, ancora nel 1854 lamentava lo stato di abbandono del secondo piano del nosocomio a causa dei guasti riportati in occasione del terremoto di tre anni prima.


Le conta dei morti.

I dati finora pubblicati, riportano un numero di morti pari a 444 sia nel testo del Paci che in quello del Leggeri. In realtà, dai registri dello Stato civile di Melfi risulta che le vittime causate dal terremoto furono 316. Inoltre, dalle carte del Consiglio generale degli ospizi, si evince che vennero ricoverati nell’ospedale cittadino 129 persone per le ferite riportate nel sisma.


La visita del re.

Anche il re delle Due Sicilie, Ferdinando II, volle visitare i centri colpiti per rendersi conto di persona dell'entità del disastro. Si recò a Melfi a distanza di un mese dal terremoto, nel pomeriggio del 15 settembre. Questa visita, per la sua eccezionalità, dovette restare a lungo impressa nella memoria della popolazione, poiché nel 1853, un muratore originario di Deliceto, Paolo Calitri, la scelse come scenario per costruire una falsa accusa contro Francesco Mazzei e Raffaele Di Francesco, due suoi compaesani che si erano recati a Melfi proprio nei giorni della visita reale per cercare lavoro, come risulta dagli atti del processo conservati nel fondo Atti e processi di valore storico dell’Archivio di Stato di Potenza.


La ricostruzione.

Per la ricostruzione dei territori danneggiati dal terremoto del 14 Agosto 1851, furono istituiti con Real rescritto del 2 settembre 1852, nei Comuni di Atella, Rionero, Melfi, Rapolla, Barile, dei Consigli edilizi presieduti dai rispettivi sindaci e composti da tre membri, due scelti tra i proprietari più facoltosi e un architetto.

La composizione di tali Consigli, disciplinati da un regolamento interno, doveva essere approvata dal Ministero dell’interno attraverso l’Intendenza di Basilicata.

Per il distretto di Melfi facevano parte del Consiglio: il presidente e sindaco don Luigi Aquilecchia, don Carlo Colabella, don Antonio Manna e Niccolo’ Baldinetti (agrimensore che assolveva alla funzione di architetto), successivamente sostituito dagli architetti don Gaetano De Comedis ed Emanuele Fusco.

Gli ingegneri incaricati di elaborare il progetto di ripristino di ponti, acque, strade, furono in ordine cronologico: Ruggi, Fortunato Borselli, Vincenzo Marrocco e De Sena.

Dai documenti dell’Intendenza si desume che il Consiglio Edilizio durò fino al 1859 e i sindaci di Melfi che lo presiedettero furono: Luigi Aquilecchia, Ludovico Araneo e Achille Ferrieri.

Da alcuni carteggi emerge la necessità pressante di ricostruire alcune strade, quali strada Venosina e strada Bagno, ritenute fondamentali per il transito all’interno della città.

Tra i documenti dell’Intendenza, relativi al terremoto del 1851, è conservato il registro contabile della “Cassa centrale per i danneggiati dal terremoto del 14 agosto del 1851” ovvero il “Conto” reso da Luigi Aquilecchia (cassiere centrale per la gestione del denaro dal 1851 al 1853) discusso e approvato dal Consiglio di Intendenza della provincia di Basilicata. Nel registro sono elencate tutte le somme ricevute, per l’esattezza 61.175 ducati, e il modo in cui sono state investite, insieme ai documenti giustificativi allegati. Risulta che gran parte di questo denaro fu utilizzato per l’acquisto di legname proveniente da Barletta destinato alla costruzione di baracche per i terremotati.

Nel registro sono annotati gli aiuti economici, espressi in ducati e grana, elargiti dalle zone circostanti, come la città di Bovino e la Puglia; dalla cassa delle Opere pubbliche della Provincia; dalla cassa del Consiglio provinciale degli ospizi di Basilicata; dalla famiglia reale e dalle famiglie Fortunato di Rionero e Dardes di Rapolla. Tali proventi erano gestiti dai cassieri dei comuni danneggiati.

Furono istituite nella città di Melfi alcuni enti per la gestione delle somme destinate alla ricostruzione, quali: la “Cassa delle fonti della colletta” e la “Cassa di prestanza”, entrambe dirette da Luigi Aquilecchia.

 

 

(1) Il giorno veniva suddiviso in ventiquattro ore che venivano numerate a partire dal tramonto. L'inconveniente maggiore di questo sistema era chiaramente rappresentato dallo spostamento del tramonto durante l'arco dell'anno. Lo stesso momento della giornata era individuato, al variare delle stagioni, con orari diversi.

 

 

 

 

Video "Cronache dalle macerie"